All’inizio del Novecento, Monza era una realtà industriale di tutto rispetto nel panorama nazionale. Nel 1911 si registravano 658 unità produttive che davano lavoro a circa 17.000 persone. La forza dell’industria locale era rappresentata dal cappellificio, che con i suoi 4000 addetti appariva in crescita. Quattro le maggiori imprese: la Cambiaghi, con 905 addetti, il Cappellificio Monzese, una delle poche società anonime presenti in città, che di operai ne aveva 706, la Valeri e Ricci (831) e la Paleari (621).
L’altro settore chiave era quello cotoniero. In città, tra industriali e operatori all’ingrosso si contavano una cinquantina di ditte con circa 5000 addetti, prevalentemente occupati in unità medio-piccole. Non mancavano cotonifici di dimensioni importanti, come la Cederna, la Fossati e Lamperti e la Tessitura Canesi.
Nel 1911 c’era anche un significativo nucleo di industrie meccaniche, 55 dotate di forza motrice, con 1986 operai, in prevalenza maschi. Si trattava di piccole imprese, poco più che botteghe artigiane, tranne la Società Anonima Meccanica Lombarda e la Giovanni Hensemberger, specializzata nella produzione di telai e meccanismi per la tessitura.
Così come era avvenuto per le lavorazioni seriche, anche l’industria del cappello dopo aver brillato per alcuni decenni, entrando negli anni Trenta conobbe una crisi ben presto rivelatasi irreversibile, complice la brusca contrazione della domanda a seguito del cambiare dei costumi e delle mode. La crisi avrebbe potuto significare il tramonto di una storia industriale di tutto rispetto. E invece finì per mettere in moto un processo di riorganizzazione produttiva dalla quale il distretto monzese sarebbe uscito profondamente mutato.